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New Dreams : La passione per il calcio lo riporta alla vita!

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alt Pubblicato anche su Nero su Bianco quindicinale di cultura varia di Aversa e agro il 23 dicembre 2012 scritto da Donato Liotto - Questa è la storia di Stefano Ruffo, un bambino di 12 anni di Gricignano d’Aversa. Il giorno dieci settembre 2012 nel mangiare una merendina, rischiò di morire soffocato. Perse conoscenza, in pratica, si addormentò per poi risvegliarsi tre giorni dopo all’ospedale civile di Aversa. Al Moscati, all’epoca del ricovero, gli vennero somministrate le prime cure. Una lunga notte attendeva i genitori , assieme con loro il dott. Mimmo Perri dello staff Medico del Moscati, una notte fatta di tensioni e timori . Il papà sig. Carmine e la mamma Sig.ra Di Foggia Cristina, e la sorellina Rosalia, si trovarono catapultati in un incubo. I medici tentavano di sbloccare la trachea e ci riuscivano con successo, poi, altre complicazioni, sopraggiunsero ad aggravare la situazione di Stefano. Un incubo quello che vi raccontiamo, durato tre lunghissimi giorni. Oggi, Stefano, sta bene, si è salvato, grazie al tempestivo intervento dello staff sanitario del Moscati, tutti bravissimi e professionali, a loro, va certamente un plauso alla grande professionalità e umanità, sempre mostrata e, non solo, per questo caso. Ma c’è una nota da raccontare in questa storia, una storia nata con un dramma e che, dramma non è stato e che si conclude proprio come in una favola. In quei tre giorni, i genitori e i medici, continuavano a parlare a Stefano e a dirgli che, lui era tifoso della Juve, poi, che era tifoso dell’inter. Lo facevano apposta, in quanto Stefano, in realtà, è tifoso del Napoli e ama il calcio tantissimo. Si voleva creare nella mente del “bimbo - dormiente” un alt effetto contrario, per farlo risvegliare dal coma e, restituirlo alla vita e ai suoi amati genitori , alla sorellina Rosalia. Un’idea geniale possiamo affermare. Stefano si risvegliò dal coma e, appena aprì gli occhi, per pochi istanti, ebbe modo di esclamare una sola frase e con tono arrabbiato disse - “ A vulite fernì e dicere fesserie..io tengo ò sangue azzurro!”. Poi si riaddormentò, il suo viso stavolta era sereno e denso di soddisfazione! Aveva ripreso a vivere, aveva inoltre, chiarito a tutti che, egli amava solo il Napoli. Poco dopo, si risvegliò definitivamente. Pochi mesi dopo, Stefano, è stato ospite a Castelvolturno, nella sede del Calcio Napoli, per un’intera giornata, ha seguito l’allenamento della sua squadra del cuore, il “suo” Napoli, ha incontrato i suoi idoli, Cavani, Maggio e Dzemajl . Ora, la sua voglia di calcio l’ha condotto e gli ha aperto le porte del calcio nostrano, dell’Aversa Normanna. La società di via Riverso ha accolto il tredici dicembre 2012 nella sua nuova sede, questo bambino, circondandolo di affetto, gli è stata consegnata la maglia dell’Aversa Normanna dal presidente Giovanni Spezzaferri e dall’Ad Alfonso Cecere inoltre è stato invitato a partecipare alla scuola Calcio della Normanna dalla signora Giancarla Perugini, moglie del presidente della Normanna. - “Un vero esempio per tutti quelli che, amano davvero e che, vivono passioni con tutto il cuore. Per questo bimbo il calcio è, una vera passione, un esempio per “certa tifoseria” violenta”- ha dichiarato il presidente Giovanni Spezzaferri il quale, assieme all’ Ad Cecere, erano visibilmente commossi. Dunque, è sicuro e, mai come in questo caso: Il cuore di Stefano ama il calcio. Il calcio, ama Stefano! Ora, Stefano è felice e da oggi, tiferà anche per un’altra squadra del cuore “L’Aversa Normanna”. Storie come queste, narrate poi, a pochi giorni dal Natale, devono insegnarci che, i veri valori, nella fattispecie, quelli legati alla passione per il calcio, ci possono essere forniti ad esempio anche attraverso questa vicenda, la quale, a tratti, somiglia davvero a una “favola moderna” A raccontarcela, non siamo noi, sono gli occhi innocenti di un bimbo che, ama il calcio, e la vita. Stefano, ci insegna che, talvolta, tifare per una squadra di calcio bastano solo pochi ingredienti: passione, innocenza, e amore. La violenza, quella davvero, non rientra nel “suo dna”.


 




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